Il necton: il popolamento ittico

Il popolamento ittico è spesso il vertice della catena alimentare lacustre, della quale costituisce l'anello terminale. Ma non tutte le specie di pesci che popolano un lago occupano una posizione di vertice. Infatti, accanto ai grossi predatori che si nutrono di altri pesci, ci sono specie definite carnivore perché si nutrono di organismi animali appartenenti allo zooplancton o al bentos ed anche specie erbivore, che si nutrono di vegetali (parti di piante acquatiche, alghe) o di detriti organici. Infine, ci sono specie che possono cambiare il loro regime alimentare con l'età e a seconda del tipo di cibo disponibile.
La composizione specifica del popolamento ittico di un ambiente acquatico è determinata dalle sue caratteristiche morfologiche, fisiche, chimiche e biologiche, cioè da dimensioni del bacino, profondità,
temperatura, concentrazione di ossigeno disciolto, qualità e quantità di alimento disponibile.
Si possono individuare tre tipologie di laghi accomunati da caratteristiche simili e, di conseguenza, tre tipi di popolamento ittico:

La composizione specifica del popolamento ittico e l'importanza numerica di ciascuna specie non sono stabili, ma soggette a variazioni naturali o indotte dalle attività di pesca, da pratiche di ripopolamento a sostegno di popolazioni già presenti o da introduzioni intenzionali di nuove specie, da introduzioni accidentali o avventate di nuove specie, da mortalità dovute a fenomeni di inquinamento.


Alimentazione dei pesci

All'uscita dall'uovo, le larve dei pesci possiedono una riserva di sostanze nutritive (provenienti dal tuorlo) racchiuse nel sacco vitellino, struttura ben evidente nella foto di larve di trota qui accanto. Questa riserva consente alla larva di sopravvivere, senza assumere alimento dall'ambiente, per un periodo, variabile da specie a specie, che va da alcuni giorni ad alcune settimane.

Esaurita tale scorta, i piccoli pesci si nutrono di microscopici organismi planctonici, soprattutto rotiferi e piccoli crostacei. Gli occhi di questi giovani sono ben sviluppati, appunto per consentire loro il miglior successo in questa caccia che si realizza a vista.
Questo tipo di alimentazione, che è generalizzabile ai giovani di tutte le specie ittiche, si protrae almeno per tutta la prima stagione di accrescimento.
Dopo il primo anno, ma in alcuni casi dopo il secondo o il terzo anno di vita, l'alimentazione può cambiare radicalmente ed il pesce acquisisce le abitudini alimentari che sono tipiche della sua specie. Contrariamente a quanto può sembrare, non è semplice far rientrare i pesci in uno schema che ne classifichi con precisione le abitudini alimentari. Un primo tentativo di classificazione può essere il seguente:

ÜERBIVORI (o consumatori primari); sono i pesci che si cibano di piante acquatiche ed alghe filamentose (materiale vegetale in genere), ad esempio la savetta (Chondrostoma soetta); -savetta:
ÜCARNIVORI (o consumatori secondari); sono i pesci che si cibano di animali invertebrati che vivono in sospensione nell'acqua (zooplancton) o sul fondo (bentos: larve di insetti, vermi, molluschi, ecc.), ad esempio il coregone (Coregonus sp.), carpa e persico sole (Lepomis gibbosus), ecc.; -coregone:
ÜPREDATORI (o consumatori terziari); sono i pesci che si cibano di altri pesci o di altri vertebrati, ad esempio il luccio (Esox lucius) e la sandra (Stizostedion lucioperca), ecc. -luccio:

Questa classificazione tuttavia appare inadeguata se si considera che le abitudini alimentari possono cambiare in funzione della disponibilità ambientale. Ad esempio, la trota, che è un predatore, può nutrirsi esclusivamente di plancton e/o bentos in laghi di montagna dove manchino i pesci che costituiscono la sua preda abituale. Per molte specie, soprattutto di ciprinidi, quali cavedano, scardola, alborella ecc., sarebbe più opportuno adottare il termine di onnivore, proprio per il loro opportunismo alimentare che le porta ad adattarsi ai più diversi tipi di alimento disponibili nell'ambiente.

Molti sono gli adattamenti anatomici che rendono le diverse specie ittiche più o meno efficienti per un determinato tipo di alimentazione. Le grandi dimensioni della bocca, ad esempio, la presenza di denti sulle mascelle o nel cavo orale definiscono le caratteristiche di predatore; la bocca piccola che si apre in posizione leggermente inferiore e la eventuale presenza di barbigli indica la prevalente alimentazione a base di organismi bentonici insediati in fondali con sedimenti soffici; la bocca che si apre superiormente sta ad indicare la possibilità di assumere alimento anche dall'ambiente atmosferico, come insetti o altre prede.

Ovviamente gli adattamenti morfologici non riguardano solamente la bocca, ma anche, e più sostanzialmente, gli organi interni dell'apparato digerente. La presenza dello stomaco quale organo specificamente differenziato è tipica dei predatori ed in generale dei carnivori, mentre è assente negli erbivori ed onnivori in generale. L'intestino ha una lunghezza maggiore nei pesci che si nutrono prevalentemente di vegetali: nella carpa erbivora (Ctenopharhyngodon idella) ha una lunghezza superiore ad oltre 10 volte la lunghezza del pesce, nel luccio è di poco inferiore alla lunghezza del pesce.


Quantità di alimento

Tra i fattori che determinano la quantità di alimento assunto da un pesce possono essere distinti dei fattori intrinseci alla biologia ed alla fisiologia della specie e fattori estrinseci, cioè determinati dall'ambiente esterno.

La quantità di cibo è primariamente regolata dalla richiesta metabolica dell'animale: questo significa che il giovane pesce in fase di pieno accrescimento ha una richiesta maggiore che non il pesce adulto che è soggetto ad un accrescimento molto più limitato. Durante il periodo riproduttivo l'assunzione di cibo è minima o addirittura può cessare completamente, per riprendere con notevole intensità dopo che è avvenuta la deposizione delle uova.

Tra i fattori esterni che influenzano la quantità di cibo introdotta si deve considerare in primo luogo la temperatura. Le variazioni di questo parametro agiscono infatti, su animali a "sangue freddo" quali i pesci, producendo fluttuazioni nella richiesta energetica. Una diminuzione di temperatura agisce, ad esempio, rallentando l'attività ed i tempi di reazione del pesce che si alimenterà così molto meno, avendo nel contempo un minor dispendio energetico. Nel corso della stagione fredda, infatti, l'alimentazione è ridotta al minimo o cessa completamente. Anche la luminosità dell'ambiente influisce sulla assunzione di alimento. Si è avuto modo di verificare che il massimo di attività alimentare si ha mediamente con una luminosità pari a 1 lux, corrispondente all'incirca alla luce che si può avere nei primi metri d'acqua all'alba ed al tramonto.

La quantità di cibo assunto è inoltre legata alla disponibilità (cioè alla quantità) di organismi alimentari (di prede) messe a disposizione pro-capite dall'ambiente. In altre parole, ciascun pesce potrà mangiare di più quanto più cibo avrà a disposizione. Vale la pena a questo punto di chiarire che cosa si intende per disponibilità alimentare in quanto si ritiene che questo sia un concetto fondamentale che regola il successo di una popolazione ittica (ma non solamente!) in un ambiente acquatico. Rispondiamo alla seguente domanda: che cosa determina la disponibilità di un determinato gruppo di organismi alimentari (prede)? Innanzi tutto la maggiore o minore produttività dell'ambiente, così come le sue caratteristiche qualitative generali consentiranno lo sviluppo ottimale (per quell'ambiente) degli organismi che costituiscono la base alimentare. Questa base andrà suddivisa tra il numero dei commensali ad una condizione però: che il prelievo non sia tale da penalizzare troppo severamente la popolazione predata. Pena: l'eccessiva rarefazione e la scomparsa della base alimentare. In un ambiente naturale i pesci conoscono assai bene questa condizione ed attuano meccanismi di autoregolazione in modo tale da convivere convenientemente con la loro base alimentare.

I severi meccanismi attraverso i quali si realizza questa autoregolazione sono quelli della competizione alimentare. Tale competizione per l'alimento può avvenire tra individui della stessa specie (competizione intraspecifica); in questo caso solamente gli individui più abili nel procurarsi l'alimento potranno conseguire un accrescimento migliore e più rapido e realizzare con successo l'atto riproduttivo, gli altri saranno destinati a soccombere. Se la quantità di alimento tende a diminuire perché i commensali sono troppo numerosi, anche il numero dei commensali "soddisfatti" tenderà a diminuire e la popolazione pagherà il tributo di una più alta mortalità giovanile, cui conseguirà un numero di adulti minore, che raggiungerà la maturità sessuale ad una taglia minore e produrrà un minor numero di uova.

La competizione alimentare si può instaurare anche tra specie ittiche diverse (competizione interspecifica) che sfruttano la stessa base alimentare. Questo fenomeno assai grave di competizione alimentare si risolve sempre con la scomparsa di una delle due specie e si verifica spesso quale conseguenza della avventata introduzione di specie esotiche o quantomeno nuove per l'ambiente.


Temperatura dell'acqua e specie ittiche

La temperatura costituisce un fattore di vario ed ampio significato per la fauna ittica. I pesci, infatti, sono organismi a sangue freddo, cioè non in grado di regolare la loro temperatura interna e, più precisamente, sono classificati come stenotemi freddi o stenotermi caldi poiché non in grado di sopportare elevate escursioni termiche nell'ambito di un clima rispettivamente freddo o caldo.

Con riferimento alle specie ittiche che vivono nella zona temperata possiamo identificare le specie stenoterme fredde come sostanzialmente appartenenti ai Salmonidi: trota, salmerino, coregone, ma anche, ad esempio, bottatrice e sanguinerola. Tra le specie stenoterme calde, che appartengono principalmente ai ciprinidi, si possono citare: scardola, triotto, carpa, tinca, ma anche persico, persico trota, pesce gatto, ecc.

L'evoluzione termica stagionale dei grandi laghi profondi della zona temperata permette la coesistenza dei due gruppi sopra indicati. La zona epilimnetica ospita le specie stenoterme calde che anche nella stagione invernale non trovano temperature molto basse (5-7 °C); la zona ipolimnetica può dare ospitalità alle specie stenoterme fredde poiché, anche nella stagione calda, può garantire temperature non superiori a 15-17 °C.

Negli ambienti lacustri di piccole dimensioni e profondità modesta (in genere inferiore a 10-15 m) non sono presenti specie stenoterme fredde poiché nel corso della stagione estiva vengono ampiamente superati i limiti di tollerabilità.

Nei piccoli laghi di alta montagna (fino a 1800-2000 m s.l.m.) è presente una fauna ittica limitata a trota, salmerino e sanguinerola.

L'attività metabolica, la quantità di alimento assunto, l'accrescimento corporeo, la respirazione, la riproduzione, i movimenti migratori dei pesci risultano condizionati dalla temperatura dell'acqua e dalle sue variazioni.

Oltre che un ambito di tolleranza, ciascuna specie ha una temperatura ottimale in relazione alle attività vitali del momento; nell'ambito del gradiente offerto dall'ambiente le zone con temperatura ottimale vengono continuamente ricercate e scelte dalle diverse specie.


Concentrazione di ossigeno disciolto e specie ittiche

Per quanto riguarda la concentrazione di ossigeno necessaria per la normale respirazione dei pesci si può osservare che le specie marine, adattate a vivere in un ambiente con una concentrazione piuttosto costante, mal sopportano variazioni anche minime. Le specie d'acqua dolce si sono adattate a ben tollerare un certo ambito di variazione di concentrazione ed alcune di esse possono sopravvivere anche a concentrazioni molto basse. Tra le specie normalmente presenti nelle nostre acque dolci si possono distinguere i seguenti quattro gruppi:

Concentrazione ottimale (ml/l) Concentrazione minima accettabile (ml/l) Specie ittiche
7-11 6 trota, sanguinerola, cobite...
5-7 5 temolo, pigo, barbo, bottatrice...
5-6 4 triotto, scardola, cavedano...
5-6 1-2 carpa, tinca, pesce gatto...

 

Per quanto riguarda la quantità di ossigeno consumata dai pesci si può osservare che questa non è costante; essa varia con l'età, in relazione ai cambiamenti nello stato di attività e delle condizioni di vita del pesce. Nelle specie che sono adattate a vivere in situazioni di periodiche diminuzioni di concentrazione di ossigeno si ha una riduzione dell'attività, la quantità di ossigeno utilizzata per la respirazione viene così ridotta al minimo.

Alcuni esempi di consumo di ossigeno sono i seguenti:

  In condizioni di attività In condizioni di riposo
Salmerino a 20 °C 390 ml/kg pesce/ora 100 ml/kg pesce/ora
Carassio a 20 °C 120 ml/kg pesce/ora 60 ml/kg pesce/ora
Carassio a 30 °C 260 ml/kg pesce/ora 120 ml/kg pesce/ora



La fauna ittica dei grandi laghi profondi

La fauna ittica dei grandi laghi profondi può essere schematicamente suddivisa in due popolamenti principali:

La presenza, nei grandi ambienti lacustri profondi, di acque ipo-limnetiche con buona ossigenazione e con una temperatura che, anche in periodo estivo, non è mai superiore a 15-17 °C consente l'insediamento nella zona pelagica di alcuni specie frigostenoterme ed ossifile quali, ad esempio, quelle appartenenti ai Salmonidi.
Originariamente la zona pelagica dei grandi laghi sud-alpini era caratterizzata dalla presenza della trota lacustre
(Salmo trutta lacustris) , del clupeide alosa (Alosa fallax lacustris) e del piccolo ciprinide alborella (Alburnus alburnus alborella). Nel Lago di Garda deve essere citata la presenza di un salmonide endemico: il carpione (Salmo trutta carpio). A partire dalla seconda metà del 1800 si è andata progressivamente affermando la presenza, nelle acque pelagiche dei laghi del Nord e del centro Italia, del coregone (Coregonus sp.), specie introdotta da ambienti lacustri situati a Nord delle Alpi nei quali è originaria.

Dal punto di vista della collocazione trofica, le specie ittiche pelagiche hanno abitudini alimentari esclusivamente zooplanctofagiche o, come nel caso delle trote di taglia superiore a 35-40 cm, ittiofaghe.

Il popolamento ittico litorale dei grandi ambienti lacustri è caratterizzato dalla presenza dei Ciprinidi, principalmente con scardola (Scardinius erythrophthalmus), cavedano (Leuciscus cephalus) e triotto (Rutilus rubilio). L'alborella, considerata specie pelagica, compie tuttavia frequenti migrazioni stagionali nella zona litorale. Nelle zone di acque basse, ricche di vegetazione acquatica, è presente la carpa (Cyprinus carpio) e la tinca (Tinca tinca). Presenti, prevalentemente nella zona sublitorale o litorale rocciosa sono anche i ciprinidi pigo (Rutilus pigus) e savetta (Chondrostoma soetta) mentre, in prossimità dello sbocco a lago di immissari, può essere rinvenuto il barbo (Barbus barbus plebejus). Assai rara è la presenza del carassio (Carassius carassius).

Per quanto riguarda il quadro delle abitudini alimentari, i Ciprinidi vengono generalmente considerati come degli onnivori, anche se le singole specie esprimono più o meno spiccate propensioni, in relazione all'età ed alla disponibilità ambientale, verso organismi planctonici o bentonici, verso materiale vegetale di origine diversa, oppure, come nel caso del cavedano, verso altri pesci.

Le specie predatrici ittiofaghe della zona litorale sono essenzialmente costituite dal luccio (Esox lucius), dal persico (Perca fluviatilis) e dal persico trota (Micropterus salmoides), specie quest'ultima introdotta nelle acque italiane all'inizio del novecento dal Nord America.

Per completare il quadro delle presenze ittiche nella zona litorale e sublitorale dei grandi laghi si deve citare il gadide bottatrice (Lota lota), che abita le zone sublitorali rocciose, il persico sole (Lepomis gibbosus), piccolo centrarchide avventatamente introdotto dal Nord America, l'anadroma anguilla (Anguilla anguilla), il cottide scazzone (Cottus gobio).

Nelle acque litorali del Lago di Garda è da citare la consistente presenza della cagnetta (Blennius fluviatilis); la presenza di questo piccolo blennide è stata rilevata negli anni '70 anche lungo le rive del Lago Maggiore.

Si deve infine accennare che i grandi laghi del distretto sud-alpino, connessi al reticolo idrografico del Fiume Po sono stati interessati fino ai primi decenni del novecento dalle migrazioni dal Mare Adriatico dell'alosa (Alosa fallax nilotica). Questo clupeide anadromo si spingeva nelle acque dolci dei grandi laghi per la riproduzione.


Il popolamento ittico dei piccoli laghi

La composizione specifica della fauna ittica dei piccoli laghi è sostanzialmente simile a quella della zona litorale dei grandi laghi. La mancanza in questi ambienti di una zona pelagica ben definita che con la sua profondità possa consentire nel periodo estivo valori termici non superiori a 15-17 °C fa si che questi piccoli corpi d'acqua non siano adatti alla sopravvivenza delle specie ittiche frigostenoterme, quali, ad esempio, quelle appartenenti ai Salmonidi. La situazione di maggiore produttività che caratterizza questi ambienti, inoltre, determina spesso una severa diminuzione della concentrazione di ossigeno nella zona afotica, limitando così le possibilità di sopravvivenza a specie meno esigenti quali quelle appartenenti ai Ciprinidi.

L'alborella, sostituita dalla scardola non appena le condizioni ambientali, a causa del progredire dell'eutrofizzazione, tendono a peggiorare, costituisce la specie numericamente dominante con abitudini alimentari zooplanctofagiche. Più rara può essere la presenza del cavedano e del triotto. Tipicamente presenti sono invece carpa e tinca: specie che possono ben sopportare basse concentrazioni di ossigeno disciolto e con un'ampia base alimentare (macroinvertebrati di fondo, vegetali, detrito organico, ecc.). Le specie ittiofaghe sono rappresentate da luccio (Esox lucius), persico (Perca fluviatilis) e persico trota (Micropterus salmoides).

Generalizzata è ormai la presenza del centrarchide persico sole (Lepomis gibbosus). Specie introdotta avventatamente dal Nord America, è divenuta molto comune nelle acque litorali della quasi totalità degli ambienti lacustri italiani.

Da citare la presenza del percide lucioperca (Stizostedion lucioperca) nel Lago di Comabbio. Questa specie, introdotta dal Nord Europa, è presente, dando luogo a qualche raro reperto di pesca, anche nel Lago Maggiore.

Particolari sono le caratteristiche del popolamento ittico del Lago Trasimeno. Malgrado la sua estensione, questo ambiente ha una profondità massima di circa sei metri e, quindi una composizione specifica che, in origine, può essere ritenuta del tutto simile a quella di laghi di ben più modeste dimensioni. Tuttavia, a partire dal 1920, questo ambiente è stato oggetto ad una serie di immissioni di particolari specie. Nel 1920 fu introdotto, infatti, il latterino (Atherina mochon): piccolo aterinide con abitudini gregarie che vive naturalmente in acque estuariali dalle quali può risalire in acque dolci di fiumi e laghi. La gambusia (Gambusia affinis) fu introdotta in occasione della lotta alla malaria. Nel 1923 fu introdotto il mugilide cefalo (Mugil cephalus): specie marina che nel periodo estivo migra in acque di salmastre spingendosi a volte anche in acque dolci fluviali. A questa introduzione è seguita, nel 1961, quella dei congeneri Mugil saliens, M. auratus, M. ramada e M. chelo. Questi Mugilidi, tuttavia, non si riproducono in acque dolci e ne vengono periodicamente immessi gli stadi giovanili.


Il popolamento ittico dei laghi alpini d'alta quota

I laghi alpini d'alta quota sono ambienti  poco produttivi perché, a causa delle basse temperature dell'ambiente di alta montagna, la loro superficie è sgombra dai ghiacci solamente per un breve periodo estivo (due-tre mesi). In generale in questi ambienti i pesci sono naturalmente assenti, poiché non sono in grado di compiervi il loro ciclo vitale ed a causa di una base alimentare troppo poco consistente. Quando è presente, e questo è comunque possibile soltanto in laghi situati a quota inferiore a 1800 m s.l.m., la fauna ittica è costituita dalla trota (Salmo trutta fario) e dal piccolo ciprinide sanguinerola (Phoxinus phoxinus). Quella della sanguinerola rappresenta per la trota una presenza assai importante in quanto garantisce un buon apporto alimentare per gli individui adulti di trota.


Variazioni naturali nel popolamento ittico

Poiché l'ecosistema lacustre è in continua lenta evoluzione da una situazione di oligotrofia (bassa produttività) ad una situazione di mesotrofia (media produttività) fino a raggiungere livelli di eutrofia (elevata produttività) sempre più accentuati, la composizione specifica del popolamento ittico tende a modificarsi, anche radicalmente.

tipo di lago: Oligotrofo ð
(poco produttivo)
Mesotrofo ð
(produttività media)
Eutrofo
(molto produttivo)
popolamento ittico: Salmonidi ð Percidi, Centrarchidi ð Ciprinidi

Infatti, il lago oligotrofo è caratterizzato dalla consistente presenza di Salmonidi, mentre lo stadio di mesotrofia comporta un passaggio alla dominanza di Percidi e Centrarchidi. Quello dei Ciprinidi è il gruppo dominante negli ambienti in condizioni di eutrofia.

Nel corso degli ultimi 50 anni gli ambienti lacustri sono stati sottoposti ad una rapida accelerazione di questo processo evolutivo naturale a causa di quel fenomeno di inquinamento chiamato eutrofizzazione antropica. Si è così potuto manifestare altrettanto rapidamente negli ambienti soggetti ad eutrofizzazione il passaggio da popolamenti con dominanza di Salmonidi a popolamenti con dominanza di Ciprinidi.


Attività di pesca

Da migliaia di anni l’uomo pesca, cioè raccoglie la produzione ittica dell’ambiente acquatico, per nutrirsene o farne commercio.

La produzione ittica è la quantità di pesce prodotta in un certo periodo di tempo per unità di superficie di un determinato ambiente e si misura in grammi per metro quadro per anno (g m-2 y-1) o in chilogrammi per ettaro per anno (kg ha-1 y-1).

Negli ambienti artificiali (stagni adibiti ad allevamento) dove i pesci adulti vengono tutti pescati alla fine del periodo di allevamento, il peso del raccolto tende a coincidere con la produzione dell’ambiente.

Negli ambienti naturali, invece, il raccolto, cioè il pescato, è soltanto quella parte di produzione ittica che viene catturata con l’attività di pesca. Per sapere la reale capacità produttiva di una lago bisognerebbe conoscere anche consistenza, accrescimento e mortalità della parte di popolazione non catturata. Questi parametri non possono essere misurati direttamente ma devono essere stimati, fatto, questo, che rende assai incerte le stime di produzione ittica degli ambienti naturali.

La produzione ittica di un ambiente acquatico è, ovviamente, dipendente dalla produttività dei primi anelli della sua catena alimentare, cioè dal suo stato trofico, che influenza anche la qualità del pescato:

tipo di lago: Oligotrofo ð
(poco produttivo)
Mesotrofo ð
(produttività media)
Eutrofo
(molto produttivo)
popolamento ittico: Salmonidi ð

Percidi, Centrarchidi ð

Ciprinidi

produzione ittica
(kg ha-1 y-1)
3 - 30 30 - 60 più di 100
Valore commerciale: elevato buono scarso

 

Per essere una attività compatibile con l'ambiente naturale e per assicurarsi la possibilità di continuare anno dopo anno il prelievo di pesce, la pesca deve essere adeguata alle caratteristiche di produttività dell'ambiente stesso.
Se questo non si verifica, la pesca può influenzare negativamente la produzione ittica :

direttamente:

indirettamente:



Pratiche di ripopolamento

Al fine di contrastare sia l'evoluzione naturale della composizione numerica della varie specie, sia la diminuzione determinata dall'attività di pesca che da mortalità da inquinamento è usuale gestire il popolamento ittico mediante pratiche di ripopolamento. Queste pratiche costituiscono tuttora un obbligo che la legge fa ai proprietari dei diritti di pesca ed a tutti coloro che si rendono responsabili di fenomeni di inquinamento, quale titolo di riparazione per lo sfruttamento, nel primo caso, e per i danni arrecati, nel secondo. Al di là, tuttavia, di questi obblighi è opinione comune che questo tipo di pratiche possa migliorare la produzione ittica di un ambiente o, quantomeno, "rinfrescare il sangue" (presupposto scientifico tra i più infondati!). e che comunque male non possa fare.

Nella seconda metà del secolo scorso, a seguito di osservazioni scientifiche, che risultarono poi prive di fondamento, si era formata l'opinione comune che la fecondazione naturale fosse il momento più critico nella riproduzione dei pesci. Ben presto, tuttavia, si scoprì che ciò non era affatto vero e che la natalità naturale era del tutto adeguata alle esigenze delle diverse specie; anzi, gli individui nati nel loro ambiente naturale avevano moltissime probabilità in più di sopravvivere rispetto a quelli seminati dall'uomo.

Questa scorretta informazione scientifica, sostenuta anche dall'entusiasmo di produrre un consistente miglioramento dell'attività di pesca, ebbe tale diffusione che, negli anni a cavallo del secolo, divenne pratica comune realizzare in "Stabilimenti Ittiogenici" la fecondazione artificiale delle specie più pregiate ed utilizzate dalla pesca ed assegnare poi le uova fecondate alle "Società di Pesca" perché le immettessero a sostegno di un popolamento esistente, oppure realizzassero una introduzione di una specie nuova per l'ambiente.

Nei primi anni del novecento, soprattutto negli Stati Uniti d'America, ebbe luogo un radicale cambiamento di indirizzo. A partire dal 1920, per molte specie ittiche, vennero del tutto abbandonati i ripopolamenti, mentre per altre si sostituirono le immissioni di avannotti appena schiusi con pesci di taglia maggiore.

In prima analisi si deve ritenere che la quantità di uova prodotte da ogni specie ittica sia tale da consentire il mantenimento della popolazione. Questa osservazione diviene certezza per quelle specie ad elevata fecondità. Così la verifica di un calo numerico della popolazione non dovrà indirizzare subito verso provvedimenti di immissione di novellame, bensì verso la preventiva identificazione delle cause. Sarebbe assurdo, infatti, immettere altro novellame quando la causa del declino della popolazione fosse, ad esempio, una inadeguatezza alimentare dell'ambiente, oppure un eccesso di predazione. Più efficace sarebbe una azione di controllo delle specie predatrici e competitrici, la difesa ed il ripristino di condizioni ottimali nelle aree di frega, una severa regolamentazione dell'attività di pesca e la lotta contro i molteplici aspetti dell'inquinamento.


Introduzione intenzionale di nuove specie

Molte specie tra quelle attualmente presenti negli ambienti lacustri italiani sono il risultato di introduzioni intenzionali, realizzate, soprattutto per ragioni economiche, tra la fine del secolo scorso e l'inizio dell'attuale. Tra le specie che più delle altre hanno avuto successo, inserendosi diffusamente nel quadro della composizione specifica dei nostri ambienti lacustri, è opportuno ricordare il coregone (Coregonus sp.) ed il persico trota (Micropterus salmoides).

Quella del coregone deve senza dubbio essere ricordata quale introduzione estremamente determinata e voluta per l'elevato valore commerciale di questa specie e per la buona adattabilità alle caratteristiche ambientali soprattutto dei nostri grandi laghi pedemontani.

Il coregone "Lavarello" o coregone bianco fu introdotto nel Maggiore e nel Como a partire dal 1861 da F. De Filippi. Il tentativo di introduzione fu realizzato con avannotti di "Blaufelchen" (Coregonus wartmanni coeruleus Fat.) provenienti dal Lago di Costanza. Questo salmonide della sottofamiglia coregoninae, comunemente presente in molti ambienti lacustri di grandi e medie dimensioni dell'areale centrale e settentrionale dell'Europa, non era originariamente presente nei laghi situati a sud delle Alpi. Questo primo tentativo fu totalmente negativo per il Lago di Como, mentre per il Lago Maggiore la cattura di un unico individuo di 23 cm di lunghezza fu realizzata nelle acque antistanti Locarno il giorno 11 Aprile 1881 a testimonianza di un seppur modesto successo dell'introduzione. A partire dal 1885, ad opera di Pietro Pavesi furono nuovamente immessi nel Lago di Como avannotti di "Blaufelchen" e di "Weissfelchen" (Coregonus schinzii helveticus Fat.). Nel Lago Maggiore l'acclimatazione di questa specie ebbe inizio nel 1891 e continuò negli anni successivi. Il coregone "Lavarello" presente nel Lago Maggiore potrebbe essere dunque una forma ibrida tra le due immesse come dimostrerebbe il numero medio delle branchiospine, unico carattere morfologico ritenuto valido nella classificazione dei coregonini (Berg e Grimaldi 1965).

Tra il 1894 ed il 1897 il coregone fu introdotto nel Lago di Lugano, nel Lago d'Iseo e, nel centro Italia, nei laghi di Bolsena, Bracciano, Albano e Martignano, utilizzando materiale proveniente dal Como. Nel Lago di Garda l'introduzione del coregone ebbe luogo nel 1918.

Tra il 1920 ed il 1930 le diffusione di questa specie ebbe luogo in numerosi altri piccoli ambienti dell'Italia centrale: laghi di Vico e di Nemi, Lago di Scanno a 900 m di quota. Successivamente le introduzioni ebbero luogo anche in alcuni invasi artificiali (Lago di Resia, Bolzano), nel Lago di Campotosto (L'Aquila), nel Lago di Cecita (Sila Grande, 1400 m s.l.m.).

Le introduzioni sino qui descritte sono attribuibili, anche se si può essere certi, alla forma lavarello.

A partire dal 1950 un altro coregone è stato oggetto di introduzione nelle acque del laghi italiani. In quell'anno, infatti, il Dipartimento di Caccia e Pesca del Canton Ticino decise di comune accordo con le Autorità Italiane, per ragioni di maggior commerciabilità, l'introduzione di un coregone di taglia inferiore a quella del "Lavarello". Fu così eseguita nelle acque del Lago Maggiore e del Lago di Lugano l'introduzione del coregone "Bondelle" (Coregonus macrophthalmus Nusslin) del Lago di Neuchâtel. Tale introduzione, che non ebbe risultato positivo nel Lago di Lugano, riuscì felicemente nel Lago Maggiore. In questo lago, infatti, a partire dal 1957 cominciarono ad essere catturati alcuni esemplari e dal 1962 le catture assunsero quantità commerciali.

Questo secondo coregone (comunemente chiamato "bondella"), che tra le due forme presenti attualmente nel Lago Maggiore costituisce quella numericamente più importante, non ha tuttavia eliminato per competizione la prima, né con essa si è ibridata. Le due forme hanno però perso le caratteristiche sistematiche delle popolazioni di provenienza; per questa ragione vengono entrambe indicate come Coregonus sp., pur essendo due popolazioni distinte che vivono "simpatricamente" nel Lago Maggiore. L'unica differenza morfologica macroscopica che le distingue è la taglia (50 cm per il Lavarello e poco più di 30 cm per la Bondella, come taglia massima). In caso di dubbio si deve ricorrere al numero medio delle branchiospine per discriminare tra le due forme. Permangono differenze notevoli per quanto riguarda le abitudini riproduttive, essendo legata la prima (Lavarello) ai bassi fondali sabbiosi delle foci dei fiumi immissari della porzione settentrionale del lago, la seconda alle profondità (30-40 m) della zona sublitorale lacustre. Anche il periodo riproduttivo è diverso: il Lavarello riproduce ai primi di Dicembre, la Bondella verso la metà di Gennaio.


Introduzioni accidentali di nuove specie

Questo tipo di introduzioni, che negli ultimi anni sta diventando assai usuale nelle nostre acque, comporta spesso danni gravi alla struttura del popolamento ittico dei nostri ambienti lacustri.

Tra le cause che contribuiscono ad alimentare l'elevata frequenza di tali eventi si deve citate innanzitutto la sostanziale manchevolezza o inadeguatezza legislativa che imponga severi limiti al trasporto, commercializzazione e importazione di materiale ittico vivo. La relativa libertà con la quale le Associazioni di Pescatori possono decidere sulle pratiche ittiogeniche e sulla gestione della fauna ittica costituisce una ulteriore occasione di rischio. Inoltre, si deve considerare l'enorme diffusione avuta recentemente dalla pesca dilettantistica e sportiva e la facilità e rapidità di spostamento dei praticanti queste attività e con essi dei pesci spesso usati come esche vive.

Accanto all'esempio più famoso e clamoroso di introduzione avventata (se non proprio accidentale) che è quello relativo al persico del Nilo (Lates niloticus) nel Lago Vittoria in Africa, si possono enumerare molti casi di pertinenza del nostro territorio.

Il persico sole (Lepomis gibbosus) fu introdotto per la prima volta come pesce ornamentale (perché aveva dei bei colori!) in un lago privato del Nord Italia (Lago di Comabbio). Naturalmente attraverso la rete idrografica e per trasporto più o meno consapevole con altro materiale ittico da ripopolamento si è diffuso nelle zone litorali di gran parte degli ambienti lacustri di piccole e grandi dimensioni.

Il pesce gatto (Ictalurus melas) introdotto dal Nord America nelle marcite da canapa e lino per ottimizzarne la produttività si è diffuso attraverso la rete idrografica e per trasporto accidentale con altro materiale ittico in numerosi piccoli ambienti lacustri del Nord Italia ed anche nella zona litorale meridionale del Lago Maggiore.

Il ciprinodontide gambusia (Gambusia affinis) fu introdotto nel 1927, in occasione della lotta alla malaria nei laghi dell'Italia centrale.

La cagnetta (Blennius fluviatilis), naturalmente presente nelle acque interne della parte orientale dell'Italia settentrionale e nel Lago di Garda, è stato recentemente introdotto, probabilmente trasportato come esca viva da pescatori dilettanti, nella acque del Lago Maggiore.

Il pesce siluro (Silurus glanis), specie originaria del Nord-Est Europa è stato introdotto (negli anni '70) da pescatori dilettanti in piccoli ambienti lacustri adibiti a pesca sportiva; successivamente è stato introdotto nel Po. Recentemente si sono catturati esemplari di questa specie nel Lago di Garda, nel Fiume Ticino nel Lago Maggiore e nel Lago di Lugano.

Molto recentemente (1995), è stata rinvenuto nel Fiume Ticino un piccolo Cipriniforme, probabilmente Pseudorasbora parva, originaria dell'estremo oriente. Non sono chiari quali possano essere stati i meccanismi di questa introduzione: indubbiamente si tratta di una introduzione accidentale. Recenti segnalazioni sulla presenza di questa specie in altri ambienti europei appartenenti a bacini idrografici diversi (Fiume Danubio e Francia) fanno supporre una sua importazione ed utilizzazione come esca viva.


L'introduzione del persico del Nilo (Lates niloticus) nel Lago Vittoria

Nel 1960 il persico del Nilo fu introdotto nel Lago Vittoria, al confine tra Kenia, Tanzania ed Uganda. Anche se l'introduzione, nonostante i pareri contrari in merito all'operazione, di questo grosso predatore, il peso del quale può superare i 100 kg era da tempo allo studio da parte dei tecnici della F.A.O. per aiutare le centinaia di piccole comunità di pescatori che vivono sul litorale, non si può tuttavia considerare questa introduzione come completamente volontaria. Infatti, sembra che alcune centinaia di soggetti siano sfuggiti dagli stagni nei quali erano mantenuti a scopo di studio e finiti nel lago a causa di una inondazione provocata da piogge intense.

La presenza di questo grosso predatore ha praticamente eliminato, negli ultimi trent'anni, le diverse centinaia di specie di ciclidi presenti nel lago, molte delle quali, oltre a costituire dei veri e propri endemismi, costituivano la base principale dell'economia della zona. Nel 1984 si è stimato un calo della quantità di pescato pari all'80% rispetto alle quantità rilevabili prima del 1960.

Precedentemente all'introduzione del persico, una consistente parte del pescato era esportata dopo essiccazione al sole. La nuova specie, avendo carni oleose, non si prestava al tradizionale metodo di conservazione. Si dovette così provvedere allo scopo mediante affumicagione e quindi al continuo abbattimento di alberi della foresta per assicurare il combustibile necessario al trattamento: un ulteriore danno ambientale.

Infine, si dovette constatare che, tra le molte specie di ciclidi eliminate dalla invasiva presenza del nuovo ospite, ve ne erano alcune di particolare importanza nel controllo della popolazione di un particolare mollusco che costituisce l'anello essenziale nel ciclo di quel parassita che determina nell'uomo la bilarziosi o schistostomiasi: malattia con esito fatale se non trattata in tempo.

È questo l'esempio della più disastrosa introduzione di una nuova specie ittica mai registrata.


   

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